Busto Arsizio

La Gioeübia 2010

L'ultimo giovedì di gennaio è quasi una giornata di festa, qui a Busto, per grandi e piccoli. Le vie del centro questa mattina erano percorse da lunghe file di bambini delle scuole materne che, accompagnati dalle maestre, andavano in piazza a vedere La Gioeübia, anzi le Gioeübie. Eh già, perchè ci sono tanti posti dove alla fine dell'inverno si brucia la "Vecchia" ma noi abbiamo delle Vecchie speciali. Non è necessario che abbiano delle sembianze umane e con il passare degli anni sono diventate anche un modo per "mettere in piazza" con ironia i problemi e le speranze della gente che, chissà, sublimate dal fuoco forse troveranno una soluzione...o forse no.

La prima che vi presento quest'anno è proprio di questo tipo. Non è unaGioeübia classica ma rappresenta un bel condominio verde fatto dai bambini di una scuola e il loro messaggio è: stop all'inquinamento, più parchi per giocare, più verde, una città più sicura.



Anche questa vuole divulgare un messaggio e mi pare non servano commenti!







La satira politica non manca mai:




Quella qui sotto è secondo me la più bella. Parla di ricordi di un passato lontano, di un'istituzione scomparsa da quasi duecento anni, eppure quelli della mia età ne hanno sentito parlare, se non altro grazie ad un modo di dire che adesso non si usa più. Alla scuola elementare, quando facevamo baccano in classe, la mia maestra gridava: "Cosa c'e qui, la scuola Teresina?"
Ecco, la "Scheua Teresen" era un'istituzione che stava tra il "nido d'infanzia" e "l'asilo infantile" (come si chiamavano ai miei tempi) e il nome derivava dalla prima sovrintendente, Teresina, sorella del fondatore Carlo Marchesoli.
Le mamme che non avevano nessuno a casa che sorvegliasse i piccoli, li "depositavano" in questa scuola sui generis, dove c'erano due o tre donne che se ne occupavano cercando di tenerli buoni raccontando favole o facendoli giocare nel cortile.
Si pagava una tariffa mensile, una lira, per chi frequentava correntemente e riceveva anche una minestra a pranzo, mentre c'era una tariffa a forfait per chi voleva "depositare" il piccolo per qualche ora soltanto mentre sbrigava le sue faccende.
I bambini erano tanti e sicuramente rognosetti e si può immaginare che il caos vi regnasse pressochè permanentemente ed ecco spiegato il significato assunto in seguito dalle parole "scuola Teresina".












A Schêua Teresén



dal volantino edito da "ul cuarantacenchi" in occasione della Gioeübia 2010


Qualcuno bisogna bene che la ricordi questa istituzione ormai scomparsa da quasi due secoli.
C'era una volta - par di raccontare una favola, ma è verità –in Piazza San Giovanni, quasi in faccia al Mortorio (quale contrasto tra morti da secoli e gli appena divezzati dal seno materno!) un raduno di bimbi, molti dei quali avevan passato da poco i due anni, che si chiamava "A Schêua Teresén", dal nome della prima sovraintendente Teresina, sorella del fondatore Carlo Marchesoli.
La data precisa di fondazione sfugge alla indagine. Non siamo lontani dal vero, però , fissando l'epoca di sua nascita intorno alla metà del secolo scorso. La sua fine, per contro, è certa: nel 1900. Ha durato quindi –poco più , poco meno –cinquant'anni.

A questa scuola sui generis venivano portati o trascinati a mano i piccoli mocciosetti, per essere lasciati in custodia. Le madri povere, che avevano bisogno di andare a fare i mestieri per procurarsi quel tanto che servisse ad arrotondare il bilancio famigliare e non avevano nessuno a casa che potesse sorvegliare le tenere loro creature, le depositavano, bagagli viventi, alla Schêua Teresén.

Io non ho potuto conoscere personalmente la Teresina e nemmeno son riuscito a rintracciare una sua fotografia. Ho conosciuto benissimo invece l'insegnante che è succeduta, la Carolina Milani e meglio ancora la sua collaboratrice Angela Milani.
Era la Caruleu una donna tarchiatella e quando l'ho conosciuta io, già anzianotta. Dotata d'una pazienza insuperabile e di un saper fare meraviglioso. In mezzo alla sua tribù di caragnosi dominava come una regina. Ed aveva la sua dama di...corte (la scuola, nei giorni di bel tempo, si svolgeva particolarmente in corte, cioè nel cortile) l'Angiuleu, la quale, a sua volta, quando il numero di ragazzi era grande, si faceva dare una mano da una ragazza tracagnotta che teneva due bimbi in braccio in una sol volta ed era specializzata nella pulizia del corpo (naso e retrospettive) dei custoditi.

La Schêua Teresén aveva una tariffa mensile (una lira) per gli abbonati e un forfait di una palanca al tocco per gli occasionali, poiché la porta della scuola era sempre aperta e chi voleva depositare il caragnoso anche per qualche ora soltanto, poteva farlo:

"Caruleu, ma tignì chì ul fieu un mumentu ch'ho d'andà a fa i facci?
Ma si car Signui! Scià , vè gn chi balén, ch'à ta do ul bèl"

L'affare era combinato, la spesa: una palanca o un palancone in ragione delle ore di custodia. Per gli abbonati che pagavano un palancon al dì c'era, oltre la custodia, un tazinen di minestra. Ma la refezione non era obbligatoria. Buona parte la portavano con sé: un boccone di pane, una grana di formaggio, due fichi secchi e d'estate un grappolo d'uva.
Nulla andava trasato, perché la Caruleu sapeva ben compartire la grazia di Dio fino al godimento dell'ultima bricciola. Anche coloro che non tenevano che duro pane, un puncieu d'uga per companatico riuscivano ad averlo, dato chè la Caruleu aveva la maestria di fare di un grappolo dieci o venti se occorreva.
E poi c'eran delle signore caritatevoli –visitatrici volontarie della scuola –le quali, ogni tanto. Portavan il pantranvai o delle caramelle. Allora era festa: non caragnava più nessuno ed anche quelli che avevano bibi eran guariti come d'incanto.

In mezzo a tanti bimbi non ancora addomesticati, naturalmente, c'era sempre un concerto. Bastava metter testa alla porta del cortile per sentire d'ogni musica. Le linguacce e i palatuni (ndr. ficcanaso) dicevano, per via del caragnamento pressoché permanente, che in faccia al mortorio c'è il martirio. Ma non era vero. La Caruleu faceva dei miracoli.
A chi raccontava la storia del Mago Sabino, a chi quella del Tredasè n pur di tenerli vispi. E quando le storielle non servivano ad asciugar le lagrime, ricorreva ad un rimedio estremo e infallibile: i burleti da pò m (ndr.simil-caramelle rotonde ricavate dalle mele). Che cosa poteva fare di più questa povera donna, che Dio la ricompensi in tanta gloria!

La Caruleu sapeva utilizzare gli stessi ragazzi più grandicelli, così da fare dei suoi aiutanti e collaboratori. Nelle ore di ricreazione gli anziani insegnavano ai novellini i giuochi di quel tempo: la giragirimbella, la gosa (ndr.rincorsa), il firla furla e ul schittieu (ndr.tubetto di legno per lanciare soffiandoci dentro pallottoline di stoppa inumudite)

La Schêua Teresén era una istituzione che stava all'intermedio tra l'asilo infantile e il nido d'infanzia. Molta gente l'ha frequentata ed ha serbato un non sgradito ricordo. Il povero nostro Cardinale Tosi c'è stato da bambino e l'ultima volta che venne a Busto prima di morire riconobbe nella Angiuleu Milani l'assistente dei suoi primi anni e con essa si intrattenne amorevolmente a ricordare i tempi ormai lontani.

Ora il clima è alquanto mutato e una scuola di questo genere non si riuscirebbe più a concepirla, specie se si tien presente si svolgeva all'infuori di qualsiasi sorveglianza igienica e in ambienti da catacomba. Tuttavia in allora ha fatto molto bene e vale la pena di ricordarla.



Gioeübia tradizionale, con le classiche calze rosse e i salamini, ma anche una mascherina contro lo smog e l'inquinamento da polveri sottili.





Questa invece è più moderna e ci racconta l'arrivo del digitale terrestre.







Quest'altra con tanti accessori molto carini a farle da contorno è del Club Alpino Italiano.





Mentre queste due forse passavano di lì per caso!



La sera, alle 19, i falò e poi la tradizionale "pulenta e busciti" in piazza.