Racconti di Natale

IL PRESEPIO DI SANTO FRANCESCO


di Guido Gozzano

Il vento soffiava diaccio con lunghi ululati paurosi che parevan scendere dalle montagne nevose. E neve ce n’era da per tutto in quel dicembre terribile! Da anni non c’era stata un’annata simile per il rigore invernale, ed i vecchi, ma quelli proprio vecchi vecchi, ne ricordavan una sola compagna a questa, quella volta che le mura di Perugia s’era spaccate per il gran gelo, ma eran tempi lontani, lontani assai.
E con l’invernata cruda era venuta anche la miseria, buona compagna dei tempi cattivi. Contadini e mandriani non sapevano più come vivere e si era al principio solamente! E sì che la campagna prometteva bene la primavera scorsa, poi era venuto il flagello della guerra, e le soldatesche come di consueto si eran sparse per i campi verdeggianti di grano ed avevano tutto distrutto! Ed ora, per attender che la campagna fiorisse nuovamente, bisognava che passassero Gennaio, Febbraio, Marzo…ed ancora, ancora….

Miseria e fame per tutto il paese dunque, e la fame, si sa, rende cattivi: i forti si fan masnadieri da strada ed assaltan i mercanti con stocco e pugnale, i deboli e gli scaltri si industrian come posson a rubare ai meno destri ed ai più miseri, ed il Maligno ride fregandosi le mani, osservando tutto ciò da dietro il tronco degli alberi, contento delle tante anime perdute da Dio e che diventan sue.

S’appressava intanto il Santo Natale, la più pura festa della nostra fede, e Frate Francesco nel piccolo eremo di Assisi si sentiva molto triste per tutte queste cose. Le elemosine che egli ed i compagni raccoglievano a prezzo di molto cammino e di grandi disagi non bastavan più a soccorrer la metà delle sventure che pur crescevan ogni giorno; poi, come fare a combattere il male che il Demonio ispira agli uomini tribolati e straziati dalla fame, dal freddo e dal pensiero del fosco domani?

Nel modesto convento parlano i frati poverelli. E dice il santo: “Che mi consigli, frate Leone? E tu quale proposta mi puoi fare, frate Bernardo?”
”Nulla, nulla… cerco nel buio della mente una ispirazione che Dio non mi manda.”
”E tu frate Elia, che sei il più istruito nella scienza degli uomini e più d’ogni altro hai lucido l’ingegno?”
”Invano, invano cerco io pure una soluzione per questa miseria e questo male, Dio non ci crede degni di trovar una strada.”
“Pensiamo insieme, ognuno faccia la propria preghiera con il maggior fervore possibile, si ritiri poi ihn solitudine, chè il Signore Iddio più spesso scende fra noi suoi poveretti quando siam soli; Egli forse oggi, se non disperiamo, vedendo il nostro fervore, ci premierà illuminandoci e dandoci il mezzo di soccorrer tanta miseria e di ricondurre al bene i traviati che ora uccidon e assaltan i lor simili non per malvagio animo, ma per miseria.”
”Buone e sagge parole sono le tue, o Francesco: in santa obbedienza faremo ciò che tu dici.” Ed i quattro fraticelli si separarono.

Ora il santo è solo. Piccolo e magro è Francesco: creatura insignificante al primo vederlo, ma da lui emana tale luce che regnerà sul mondo per secoli e secoli di là da venire.

E’ solo il santo, ma non può rimanere nel chiuso della celletta; la piccola lampada a tre beccucci su cui, come petali di irrequieti fiori, si agitan tre linguette di fuoco, dà fastidio agli occhi malati ed arrossati dalle continue veglie. E poi gli sembra di aver bisogno di aria fresca; forse il Signore Iddio gli parlerà con la voce di frate vento che sempre più forte continua ad ululare nella notte nera.

Lentamente il Santo si fa il segno della Croce davanti all’immagine del Redentore, che è dipinta sulla parete, poi scende le scale ed esce dal convento.

E la meraviglia appare.

Il vento è caduto, sperse son le nubi nel cielo limpidissimo e gelido che sembra vetro, la luna pende, grande e bella come uno scudo di guerriero, la neve che tutt’intorno s’alza a mucchi è come azzurrata da tanti atomi di colore che sembran impasti d’argento. E per l’aria è una gran pace ed un immenso stupore attonito grava sulla terra. Ma non è solo l’incanto della placida notte a far rimanere immobile e reverente il Santo: no.
E' una stella che brilla lassù, proprio sulla sua testa, una stella tutta luce, enorme e con una lunga chioma luminosa che stria l’azzurro vitreo della volta celeste: la stessa cometa dunque, quella che mille e più anni fa, proprio in una notte come questa, indicò ai pii pastori come laggiù, nella stalla di Betlemme, fosse nato il Salvatore delle genti.

E che vuol dire quella stella fiorita in cielo proprio davanti agli occhi di lui, che s’accinge a chieder un segno dell’interessamento del Signore per i suoi poveri?

Con l’animo riboccante di riverenza, di mistico ardore, di commossa gioia Santo Francesco cammina spinto da una strana forza; scende allora passo passo per la strada che mena ad Assisi, ed ecco dietro ad una cortina di cipressi apparire una stalla abbandonata.

Da l’infanzia Francesco conosce quei luoghi e mai s’era accorto che qui ci fosse un asilo d’animali. Ristà perplesso il mite frate, e mentre non sa che dirsi, ecco che un alito caldo ed umido gli venta dietro al collo in lungo soffio.
Si volge Francesco: il muso d’un grosso bove lo sfiora; con il grande occhio attonito il niveo animale pare quasi voglia suggerirgli qualcosa…arretra ora la bestia e tarda volge ancora la testa quasi ad invito. Ma già il Santo ha compreso e guida il bove nella stalla, lo fa sdraiare presso la greppia su d’un letto di paglia; quasi evocato intanto appare anche l’asinello che, muovendo lentamente avanti e indietro le lunghe orecchie pelose, prende posto vicino al bove. Ed ecco la rappresentazione del presepio ove è nato Gesù Bambino. Il fraticello chiamerà a raccolta pastori e mandriani e farà a tutti vedere il luogo dove ha passate le sue prime notti il Salvatore del mondo.

La vista del presepe farà ridiventar buoni i cattivi?
Servirà a rapire al Maligno le anime traviate?
Oppure darà la forza della rassegnazione agli umili sempre calpesti?

Non sa Francesco, ma spera, ma è sicuro che il Signore compirà il miracolo.
Abbandona la stalla e corre, corre il Santo a chiamar pastori e mandriani, poveri e ricchi.
E vengono i guardiani coperti di pelli con la scorta delle loro cornamuse e con i cani, vengono i contadini diffidenti, vengon le donne di Assisi che hanno i bambini al seno e i ragazzetti attaccati alle gonne, vengono i soldati del comune e quelli del vescovo, i mercanti che han lasciato la bottega, gli uomini di toga e i prelati. E tutti sono come spinti da una ignota forza cui è impossibile resistere.

Sfila la processione nera sui sentieri azzurri della neve baciata dalla luna, esce dalla porta aperta della città e si svolge e dipana per la pianura in lunga fila. E per l’aria diventata improvvisamente dolce come nel maggio, si spande in ampie onde il suono delle campane di Assisi e di Perugina, che inneggiano a Dio nato fra gli uomini.

Giunta al presepe, la processione s’arresta fra grida di meraviglia, chè un grande miracolo è apparso alla folla.
Dalla mangiatoia della stalla emana un tenue e casto lume; fra la paglia d’oro, riscaldata dall’alito delle umili bestie, è fiorita, come un’apparizione divina l’immagine del bimbo santo: di Gesù Nazzareno!

Cadon in ginocchio le genti ed adorano.

Frate Francesco con Leone, Bernardo, Elia e tutti gli altri fratelli piangon di commozione, i contadini senton le dure anime intenerirsi come mai loro è accaduto, le donne pregano con i bamboli al seno, ed i mandriani, spinti da una forza interna, stringon le cornamuse e suonano.
La melodia semplice e grande, scende nell’anima come un dolce e tiepido latte che scorra per le vene quasi sangue, ed allora il canto, un semplice canto di popolo che nei secoli verrà ripetuto da tutti i bimbi e tutti i pastori, sale al cielo sereno e rigido, in note lente e maestose:


Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino, io ti veggo qui a tremare
o Dio beato, oh, quanto ti costò l’averci amato!

E per quell’anno anche i più miseri furon consolati dal miracolo e meno s’accorsero della loro miseria.
Ed i malvagi sentiron rinascere nelle animo loro il fiore prezioso della bontà.
I potenti ascoltaron la prece degli umili e porsero loro aiuti.
E Dio compensò la terra di Assisi donando buona messe al tempo del raccolto.

Da allora è nata l’usanza di costruire a Natale nelle chiese e nelle case dei fedeli ove son bambini, la capannuccia del presepe, imitazione e ricordo di quello ideato dal santo poeta.

This template downloaded from free website templates