Il Flauto Magico

Traduzione personale

Hamelin è una piccola ma bella città. Il fiume Weser largo e profondo bagna le sue mura dalla parte di mezzogiorno; le sue colline son fiorite e ridenti.
Ma all'epoca di cui vi parlo, i poveri abitanti di Hamelin facevan proprio compassione.
Topi, topi dappertutto! Erano tanti che resistevano ai cani e si battevan con loro, e inseguivano e ammazzavano i gatti; mordevano i bambini dentro le culle, mangiavano forme enormi di cacio parmigiano in pochi minuti, leccavano la salsa sul mestolo della cuoca; aprivano i barilotti di sardine, facevano il nido nei cappelli da festa degli uomini e coprivano perfino il ciarlío delle donne, fischiando e stridendo in cinquanta diversi toni gravi ed acuti.
Alla fine il popolo corse in folla al Municipio e diceva: "Il nostro sindaco è un grullo, e quanto ai consiglieri è proprio dura dover pagare delle belle cappe foderate di martora per dei fantocci che non ci sanno liberare nemmeno da un esercito di topi." E cominciavano a fare grandi schiamazzi sotto le finestre del palagio.

La dimostrazione numerosa e imponente gelò il sangue nelle vene del gonfaloniere e dei consiglieri.
"Che cosa si dice? Che cosa si fa?" E si guardavano in viso, pallidi e sbigottiti.
Si sentivano gli urli del popolo in piazza, e quando le grida scemavano un poco, si udiva distinto il fischío, il rosicchío di milioni di topi.
Fu bussato leggermente all’uscio della sala del Consiglio. “Entrate” gridò il sindaco, e si presentò la più strana figura, vestita di un lungo e bizzarro abito metà giallo e metà rosso… Era un uomo alto e magro, senza baffi e senza barba; con due occhi azzurri, acuti e penetranti; coi capelli lunghi che gli scendevano fin sulle spalle. Un curioso e misterioso sorriso animava leggermente il suo pallido volto. Nessuno poteva capire chi fosse, né donde venisse.
Si avanzò fino alla tavola del Consiglio, e parlò così: “Signori! Io, per mezzo di un gran segreto incanto, a me sol noto, son capace di attirarmi dietro ogni specie di creatura vivente sotto il sole, in modo prodigioso e incredibile. Ed io mi servo di questo arcano potere specialmente contro gli animali malefici come le talpe, le locuste, le vipere. E mi chiamano il Flautista magico.” (Qui fu osservato che aveva al collo una sciarpa a righe gialle e rosse come il vestito; e che dai capi della sciarpa pendeva un flauto: e anche notarono che, mentre egli discorreva toccava e percorreva con le dita nervose e impazienti i buchi di quel flauto). “Eppure”, seguitò a dire “benché io non sia che un povero sonatore, ho liberato il Kan di Tartaria lo scorso giugno da una tremenda invasione di zanzare e il Nizam in Asia da un diluvio di pipistrelli. Ora, alle corte, signori, se io vi libero dai topi della vostra città, vi impegnate a darmi un migliaio di fiorini?”
“Un migliaio? Cinquantamila!” esclamarono l’attonito sindaco e gli stupefatti consiglieri.

Il flautista scese allora in piazza già sgombrata dal popolo. Si fermò un momento, e fece un certo sorrisetto pensando alla magia che dormiva in quel suo tacito strumento. Poi, come un musico esperto, aggrinzò le labbra per soffiare nel flauto; i suoi occhi verde-azzurri mandavano scintille come la fiamma di una candela se vi si getta sopra del sale. Il flauto aveva appena modulato tre note, e si sentì come il mormorio di un’armata: e il mormorio diventò un grugnito, un brontolío, un sottosopra incessante; e dalle case uscivano, a precipizio, folle di topi, sorci e topolini, topi magri e topi grassi, grigi, neri, bianchi, rigati, gravi, corcontenti, svelti e giovani ameni, babbi, mamme, zii, cugine, codine ritte e baffetti appuntati, famiglie intere, a dozzine, a ventine; fratelli, sorelle, mogli, mariti, tutti dietro al sonatore del flauto. Egli sonava avanzandosi in strada e percorse così tutta la città per lungo e per largo: e da ogni uscio escivano incredibili folle di topi, tombolando, ruzzolando giù dalle scale, e tutti via dietro al magico flauto, contenti, felici, salterellando e fischiando…finché dietro l’orme del sonatore arrivarono al Weser, e vi affogarono tutti.
Tutti, fuorché uno, il quale, valoroso come Giulio Cesare, nuotò contro corrente per ore ed ore, e riportò in Terra di topi il suo Commentario, che diceva così:

- Alle prime note del flauto sentii un rumore come di cacio grattato, di mele mature pestate per fare il sidro, di vasetti di conserva scoperchiati, uno sturar di fiaschi d’olio, uno stappar di bottiglie di sciroppo, un romper di cerchi di barilozzi di burro, e mi parve come se una voce, più soave d’ogni celeste arpa, dicesse: “O topi, esultate! Il mondo è diventato una immensa merenda, pranzo e cena; cena, pranzo, merenda e colazione!” Ma appunto quando vedevo una enorme palla di zucchero brillante come un gran sole, alla distanza di un braccio, quando proprio mi pareva che mi dicesse: vieni, pigliami e mangiami! mi trovai tra i flutti del Weser…”

Che scampanío in tutti i campanili di Hamelin! Che doppi da festa in quel giorno del gran naufragio! Il sindaco, in piazza del mercato, ordinò ai popolani di Hamelin di munirsi di lunghe pertiche appuntate e di frugare con esse in tutti i nidi dei topi, e poi di murare tutti i buchi nelle case.
“Intendetevela coi muratori e coi legnaioli; e che non resti traccia di topo, badate bene!...” Quand’ecco riapparisce in mezzo a loro la figura allampanata del sonatore di flauto e dice queste parole: “Prima di tutto pensate a pagare:…qua i mille fiorini!”
”Mille fiorini?” Il sindaco si fece nero: pensava che con la metà di quella somma avrebbe potuto rifornir di vino del Reno la sua cantina, e quella di tutti i consiglieri. E doverla pagare invece ad un vagabondo, con un vestito da zingaro, mezzo rosso e mezzo giallo!

“E poi, già” soggiunse stringendo un occhio e con un malizioso sorriso, “e poi la cosa ormai è bell’e finita, là in riva al fiume. Abbiamo visto i topi affogare, e i morti, uomini o topi, non possono resuscitare. Dunque, caro amico, se vuoi qualcosa da bere, o qualche soldo per metterti in borsa, non c’è che dire, ti sarà dato. Ma quanto a mille fiorini, tu sai meglio di noi che fu detto per burla. Mille fiorini? Ma sei matto! Via, te ne daremo cinquanta e tutti pari….
Il poveretto restò stordito e rispose dopo un lungo silenzio di meraviglia: “Va bene: ma chi mi ha fatto questa azionaccia si prepari a vedere gli effetti di un’altra musica!...” E così scomparve.

Poco dopo fu rivisto nella via principale della città. Si fermò ad un tratto e accostò alle labbra il flauto: e ne cavò tre dolcissime note.
Allora si sentì un rumore come di gente allegra che arrivi di tutta corsa, e un battere di migliaia di manine, un calpestío di zoccoletti di legno, un suono di voci fresche e argentine annunziò una folla, una invasione di fanciulli che accorrevano da ogni parte lietamente schiamazzando, come i pulcini quando la contadina spande i chicchi di miglio e di grano sull’aia. Bambini e bambine con gotine rosse e riccioli biondi, brunette con vispi occhi neri e denti di perle, alcuni grandetti, altri col cèrcine in testa e la bambola in braccio, che duravan fatica a correre, e si attaccavano alle sottanine dei più grandi, e così venivano innanzi, ridevano che era proprio un piacere a vederli. E tutti, un vero esercito di bambini, tutti dietro al sonatore del flauto magico!

Il sindaco vide, i consiglieri videro, tutti i babbi e le mamme videro; ma nessuno potè fare un passo né dire una parola. Volevan gridare, richiamare a casa i bambini, volevan correre dietro a loro, riprenderli a forza; impossibile! Restaron tutti incatenati, inchiodati là dove si trovavano in quel momento. E i bambini tutti via fin di collo alle balie, fino ai bambini di un anno, che camminando colle mani e coi piedi s’ingegnavano di andare dietro alla musica prodigiosa.

Il flautista percorse tutta la città e poi volse…”verso il fiume?” mi domanderete trepidanti. No, amici miei; anzi questa volta prese la direzione opposta; si volse al nord e s’incamminò verso un monte, il Koppelberg. Vi arrivò; ed ecco, nel fianco del monte si aprì una gran porta, e il sonatore entrò dentro, e tutti i bambini dietro; e quando tutti furon entrati fino all’ultimo, la porta si chiuse da sé, o per dir meglio, disparve, e non restò la minima traccia di porta nel macigno del monte.
Ho detto “tutti fino all’ultimo”? Ho detto male, No; uno restò fuori; un bambino zoppo, che era rimasto addietro, benché arrancasse quanto poteva, e si aiutasse con le sue gruccine…
Questo zoppino non sapeva darsi pace di non essere potuto entrare anche lui. E restò sempre malinconico in quel solo anno che sopravvisse.
”Che noia” esclamava “ in questa città dacché non ci sono più bambini! Non posso rassegnarmi, non so farmi una ragione d’essere rimasto io solo, privo di tutte le più belle cose che il flautista ci fece vedere con la sua musica! Io che non ho altri compensi perché non ho né babbo né mamma; e poi sono zoppo, e quasi sempre malato… O terra felice dove dicea condurci! Dove i fiori brillano come le stelle, dove i passerotti son più belli dei pavoni, dove i bambini nascono con le ali, e anche gli zoppi volano e sono felici!...” E lo zoppino piangeva. Ma più di lui piangevano i genitori dei bambini scomparsi nella montagna. Tutti i giorni speravano di vedere il suonatore di flauto…e gli avrebbero dato anche centomila fiorini, pur di riavere i figliuoli! Alcune mamme disperate avevan perso la testa, e parlavano nientemeno che di ammazzare il sindaco che era stato cagione di tante lagrime col suo mancar di parola. Povere mamme! Erano sempre a passeggiare sulle falde del monte, e appoggiavano ogni poco l’orecchio al duro macigno… ma non si sentiva nulla; e la magica porta non si aprì mai, né il sonatore del flauto magico ricomparve mai più…




Questa è una delle più famose favole trascritte dai fratelli Grimm che presero spunto da un racconto tradizionale tedesco ispirato ad una tragedia che realmente colpì la città di Hamelin, nella Bassa Sassonia, il 26 giugno del 1284.
Nelle sue stesure più antiche, si parlava solo della scomparsa di 130 bambini e la storia dei topi sembra sia stata aggiunta solo verso il quattordicesimo secolo. Esisteva infatti nella chiesa di Hamelin, ma fu distrutta nel 1600, una vetrata che raffigurava un uomo con un vestito multicolore nell'atto di suonare un piffero, seguito da tanti bambini vestiti di bianco.
Questa raffigurazione sembrerebbe avvalorare una delle spiegazioni sulla scomparsa dei bambini e cioè che il Pifferaio fosse una persona dedita a pratiche esoteriche e avesse convinto i 130 bambini a seguirlo per compiere un rito pagano. I signori padroni del Castello e delle terre, di nome Spiegelbergs, molto religiosi, piuttosto che permettere una cose simile, li fecero uccidere tutti.

Un'altra spiegazione starebbe nel fatto che, dato che la città era circondata da mura e non poteva espandersi, ad un certo punto cominciò ad essere sovrappopolata, tanto che il vescovo Bruno Von Schaumburg, alla fine del 1200, intraprese una campagna presso i giovani perché emigrassero, costruendo altrove nuovi paesi.

E infine, e qui i topi c'entrano, ad uccidere i bambini potrebbe essere stata la peste, causata dalle pulci dei topi usciti dalle tane a morire per le strade. I parassiti, venuti allo scoperto, attaccarono gli esseri più deboli e indifesi, i bambini.
Comunque siano andate le cose, pare che esista tuttora una legge non scritta che vieta di cantare o suonare musica in una particolare strada di Hamelin, proprio per rispetto nei confronti di quei bambini.

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