Non solo ricette:
letteratura in cucina

 

Nel cuore di Milano


da una pubblicazione primi anni 70

 

L'articolo del celebre giornalista apparso su un quotidiano milanese aveva provocata reazioni notevoli specie nell'alta borghesia che, si dice, conserva ancora un certo gusto per l'autentica cucina ambrosiana.
L'articolo incriminato diceva, pressapoco, che una cucina milanese non poteva più esistere, semmai era esistita, sommersa dall'avvento delle cucine: toscana, bolognese, napoletana eccetera e se qua e là erano rimaste vaghe tracce dovevano essere ormai ben poca cosa, tali quindi da non poter reggere il confronto con le gagliarde cucine delle altre regioni.
Apriti o cielo!!! Un subisso di lettere sommerse la redazione ed un profluvio d'inviti cadde sulla scrivania dell'incauto “columnist”, intesi tutti a proporgli una cena prettamente meneghina allo scopo di farlo ricredere ed illustrargli i fasti di una gastronomia saporosa, ricercata e tuttora vivida e godibilissima.

Bene! La scelta cadde sull'invito, elegantissimo, di donna Elvira YKZ, nota “damazza” della haute milanese con tanto di palazzo in via Borgonuovo.

Ricevuto con tutti gli onori ed ampi sorrisi nella fastosa dimora, il giornalista fu introdotto con gli ospiti nel salone di ricevimento, dove camerieri porgevano, su ampi vassoi d'argento, gli aperitivi: champagne e long drink violacei come l'ametista composti di vodka e parfait-amour; il che stabilì che di meneghino c'era soltanto l'intenzione; però giunsero vassoi con deliziose tartine di polenta fritta, caldissima, racchiudenti formaggi molli, salame crudo, detto appunto salame di Milano, dischi di cotechino saporosissimo, mondeghigli pepati (piccole polpettine croccanti) nonché pesciolini di lago in bruschetto, foglie di lattuga farcite con alici piccanti su piccole fette di pane francese tostato e secco... Niente male. Gli aperitivi ebbero molto successo!

Poi un gesto impercettibile, ed il maggiordomo annunciò che il pranzo era pronto per essere servito. Il giornalista sedette perplesso, fissi gli occhi sui sottopiatti in splendido “vermeil”. Per prima cosa fu servita una delicata spuma di prosciutto e si bevve un fresco bianco secco dell'Oltrepò pavese. Un tempo, disse donna Elvira, quella plaga era lombarda.

Venne poi il risotto giallo; fragrante di zafferano, mantecato dal burro, mostoso, racchiudeva come in un nido dorato rotoli di salsiccia rosolata coperta di sughetto dal profumo di fungo fresco: Il vino che accompagnava il piatto famoso era un autentico Sassella della Valtellina, robusto e morbido.
Il giornalista, superato da buon toscano il primo incontro con l'aroma vagamente farmaceutico dello zafferano, gustò con palese piacere quel riso che si scioglieva in bocca al primo contatto; sorrise e la padrona di casa gli corrispose compiaciuta.

L'ingresso delle cotolette, poste ad arte su un immenso piatto vecchia Lodi, suscitò un cordiale applauso. C'era di che, in quanto il sentore commisto di burro e di vino era quanto mai allettante.
Sì, disse la signora Elvira, le cotolette alla milanese, per essere perfette, vanno spruzzate, appena pronte per la tavola, con un bianco secco e spolverizzate leggermente con formaggio lodigiano.
Le cotolette s'ebbero i più alti elogi, così come il generoso Casteggio che si sposava perfettamente alla carne.

L'Intermezzo era costituito da un piatto freddo, il vitello “tonnè”, tenere fette di carne affogate nella salsa composta di tonno e maionese in cui nereggiavano i capperi aciduli.
Il giornalista assaggiò compunto poi fece un breve inchino alla padrona di casa che, commossa, si chinò a sua volta.

Quando giunse in tavola il piatto forte, per l'ambiente si sparse la fragranza dello stufato di manzo alla lombarda: aromi di vino, di cannella, di garofano, di ginepro...Una vera festa per l'olfatto.
L'enorme marmitta posta su un carrello avanzò trionfante e fece il giro dei commensali che non lesinarono le porzioni. Quella carne di manzo messa a macerare per ventiquattro ore nel vino rosso insieme con molte verdure con particolare riguardo a sedani, carote, cipolle e condite con le spezie, cotta poi a fuoco lento con sapienti aggiunte di olio era letteralmente una squisitezza totale, bocconcini che si scioglievano profumatamente in bocca.
Il vino, questa volta, era un Barbera superbo delle tenute di donna Elvira confinanti col Piemonte ma con le radici in terra lombarda...almeno così dicevano le antiche mappe.

A questo punto il giornalista trasse un grosso sospiro ma fu bloccato dall'arrivo di coppette di zabaglione caldo, aromatico, accompagnato da biscotti sottili e duri che furono usati a mo' di cucchiaio.
Decisamente, il giornalista dichiarò ch'era giunto alla saturazione e che...”A no! - esclamò donna Elvira – deve assaggiare il centerbe della Abbazia di Piona; quei buoni frati lo distillano appositamente per una ristretta clientela. Prego”
Verde, forte, ad alto tono alcolico, il liquore si posò sul tutto come una benefica pioggia digestiva. Ed il silenzio cadde nella luce del salone.

La padrona di casa fissava il giornalista e questi disse: “Gentile signora, mi è caro esprimerle le più vive congratulazioni. Se questa è la cucina milanese devo ricredermi. Vorrei comunque concludere con una massima in uso dalla mie parti: “Un bel tacer non fu mai scritto”. Difatti, io ho scritto perché non ho saputo tacere. Peccato. Avrei dovuto incontrarla prima.”