Non solo ricette:
letteratura in cucina

 

Sorrento e polpetielli


di Giordano Pitt

 

Guarda, disse uno della combriccola, se da quegli antri uscisse una frotta di sirene ti meraviglieresti? - No!!- fu il coro che rispose, e l'eco si infranse sull'impressionante strapiombo precipitante nel mare, scenografia incomparabile sul cui lungo crinale coronato di lecci e tamerischi biancheggiavano gli alberghi e le ville.
Sorrento splendeva nel sole ardente del mezzogiorno.

Accostatici allo sbarcadero, affidammo il motoscafo al ragazzo e ci avviammo verso il tunnel scavato nel tufo nel cui fondo è nascosto l'ascensore per salire a quota cinquanta metri là dove si trova il pianterreno dell'Hotel.

Quale profumo di gelsomini! Il calore poi lo esalta come uno stupefacente. Ci avviammo al bar che è serrato in una piccola grotta ma...mentre traversavamo il breve pontile vedemmo Nino, il figlio del barcaiolo che ci traghettava al porto, camminare intento, reggendo una grossa marmitta di coccio e lasciandosi dietro una scia talmente aromatica da far venire i crampi allo stomaco.
Lo bloccammo: -Alto là, cos'hai lì dentro?- Il ragazzo sorrise piuttosto divertito, poi scoperchiò il recipiente esclamando: -Polpetielli affogati! -
Guardammo, e cos'era quel misterioso intruglio? Vedemmo piccoli polipi, neri, gonfi, lucidi, coi brevi tentacoli arricciati in groviglio, starsene affogati letteralmente, in un sugo rossastro, denso, straordinariamente aromatico.
Ci guardammo in malinconico silenzio poi tornammo a guardare il magico pentolino; pareva pieno di liquida felicità. - Ma, disse la moglie di uno di noi, come sono fatti? -
-Oh, rispose Nino, è semplice. Si fa il sugo con pomodori freschi, aglio, prezzemolo, origano, si buttano i polpetielli e si lascia cuocere a fuoco lento, fuoco di brace, sia chiaro. Mia zia è bravissima. Questi li ha fatti lei. Scusassero, vado, sennò tutto si fredda. -Rimise il coperchio, tappò quindi l'efflusso magico e si allontanò sull'arenile; al fondo il padre attendeva facendo schioccare la lingua. E noi salimmo mestamente all'albergo nel cui salone sontuoso avremmo gustato.. la solita zuppa di verdura o gli spaghetti scotti, la steack-tartare, il roast-beaf, i profiterol ed altre malinconie del genere. Mentre giù, strillò il solito ghiottone, marinai e pescatori "se magnano" piatti da Re!

Maledizione! Ma non finì così, no!
Affrontammo Carmelo e promettendogli una adeguata ricompensa gli chiedemmo di organizzare una "mangiata" alla marinara di carattere partenopeo. Accettò e quello che seguì fu degno di una lapide.

Dunque...anzitutto il luogo, un'ortaglia in casa della sorella posta fra due aranceti, una lunga tavola di sasso, una tovaglia di tela candidissima e il sorriso di donna Antonia, felice ed asmatica. Il menù, servito sotto la frescura del verziere, fu semplice e perfetto!
Su un grande piatto di terraglia ecco arrivare un profumo intenso di aceto-aglio-peperoncino-basilico che non ti dico. Diamine. Erano le celebrate, infernali, melanzane allo "scapece", tagliate a fette, macerate nell'aceto, immerse nell'olio, insaporite con spezie ed aromi verdi...Indescrivibili!!! Disse Carmelo - Con queste ci vuole prima un boccale d'acqua fresca e poi un buon bicchiere di Gragnano del Vesuvio, un vinello frizzante che lor signori gradiranno - Dopo il Gragnano già scoppiavano i primi ditirambi all'indirizzo della cuoca.

La seconda portata la recò Nino in un pentolone di terracotta, strillando: - Polpetielli affogati! - Quale applauso e che trionfo! Donna Antonia era commossa al punto che si mangiò due portate di quel portento.
Disse Carmelo che quello era un piatto dei vecchi pescatori. Ricetta sublime per la quale occorre un fornello con brace di legna e tanta, tanta pazienza. Il Gragnano rosso, denso, asprigno inondò la tavola e le gole e gli applausi si fecero udire sino al mare, che si intravedeva di scorcio frammezzo le piante.

Altro piatto o meglio, concia di coccio colma di un favoloso fritto di triglie e calamari. Dorati, croccanti, aulenti; mangiati lentamente accoppiati: un pezzo di triglia ed un anello di calamari, si sommano due sapori, amarognolo e leggermente dolciastro, creando una vera armonia.
Carmelo sentenziò - Queste sono vere triglie di scoglio e questi sono calamaretti viola, che non sanno di alga secca. E sono buttati ancora freschi di mare nell'olio bollente, dopo essere stati infarinati. Vino, Antonietta! - Arrivarono alcune bottiglie di vino bianco d'Ischia, il Forio, fresco, vagamente acidulo, pieno e profumato.

Eravamo ormai al colmo dello stupore e non sapevamo più cosa dire. Perciò accettammo un'esperienza del tutto sconosciuta; porre delle fette di pesche d'un giallo rossiccio in un bicchiere colmo di un vino un poco asprigno chiamato "Monte e Procida"!
Fu allora il colmo della meraviglia e della digestione.

Ci alzammo e a turno baciammo donna Antonia che rideva fra un diluvio di ciccia, abbracciammo Don Carmelo che strillava - Eh!...'Sti lombardi! -
Arrivammo saltando attraverso orti e giardini verso il richiamo del mare, scintillante per l'ora alta del pomeriggio come una immensa lastra di mercurio. Il calore si faceva udire anche sotto le fronde ch'erano tutte un frinire di cicale e ronzare di insetti.